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Marzo
Globaproject.info 17/03/2020
Naomi Klein: il Coronavirus è il disastro perfetto per il “capitalismo dei disastri”
Traduzione di un’intervista di Marie Solis (VICE)
Traduzione di un’intervista di Marie Solis (VICE)
Premetto che questo interrogarsi sul dopo covid mi trova meno preparata di altri o forse più preparata dipende dai punti di vista.
Questo racconto sarà infatti la sintesi di un’ esperienza per lanciare, ancora una volta, la sfida.
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Sono nata e cresciuta a Milano. A tredici anni ho iniziato a collezionare dischi.
La musica era il rifugio quando stavo in famiglia, era il collante di tutte le mie amicizie fuori da casa.
E’ stato molto naturale ritrovarmi tra chi faceva o amava la musica, in quegli anni 80, protagonisti e frequentatori della scena punk – garage – ska.
Ho seguito la nascita dei Casino Royale e ho bellissimi ricordi di sale prova, concerti, macchinate per andare ad imbucarsi alle feste in piscina fuori Milano.
La musica mi ha sempre dato una direzione, la dritta con le droghe, con la politica e insieme a lei ho costruito i miei principi sino ad oggi.
Quando sono arrivata a Bologna, nel 1990, anche qui mi sono connessa subito al mondo della musica. Il rap mi ha rapito, era il suo momento e mi buttai nella scena comprando i dischi, spingendo e frequentando le persone appassionate come me. Ricordo la sede della Century Vox a casa di Renato Amata, dove ho conosciuto Soulboy, dj Gruff e Carry D. Portavo in giro i Sangue Misto con il mio furgoncino. Attendevo l’alba a Zona Dopa. Conducevo un programma su Radio Kappa Centrale dove ho avuto la fortuna di imparare a fare tutto, maneggiando la musica.
L’hip hop in Italia era agli esordi, i testi erano universali, sgrammaticati per alcuni, veri romanzi per tanti altri, contenevano messaggi introspettivi o di lotta per gli spazi sociali. Piano piano però, fu come se l’ingombro americano entrasse in questa casa aperta sedandone l’impatto potente sulla nostra società. Sentivo che non sarei mai stata una fly girl e non sarei mai rimasta sul divano nel backstage in attesa del mio ragazzo.
L’hiphop ha buttato giù alcune barriere, sostenendo integrazione e affrancamento sociale, ma ha conservato le barriere di genere.
Al Link mi sono finalmente aperta alla musica a 360 e ho rotto alcuni schemi che mi stavano stretti, quei rituali da branco per i quali noi ragazze camminavamo sulle punte dei piedi, nelle aree dedicate e gestite dagli uomini.
Questa è una vecchia storia ma per molta gente della mia generazione è una condizione con la quale è cresciuta, abituandosi.
La sfida è questa, la lancio a tutti quelli che lavorano nella musica, progettare un nuovo ambiente, con le donne, non per le donne, non ospitate o graziate dai loro fratelli.
Dalla produzione al settore tecnico logistico sino al palco e alla lineup, la nascita di un nuovo ambiente di sperimentazione costruito dalle donne, dedicato alla ricerca musicale, al confronto sui modelli dell’industria musicale, all’allenamento sulla strumentazione musicale, senza una scadenza.